giovedì 7 febbraio 2008

Uscendo dalla rappresentazione democratica


Alcune note sull’astensionismo

Uno dei teoremi mai dimostrati a cui il sistema politico-mediatico vorrebbe farci credere è che un'ampia partecipazione al voto (un'alta percentuale di votanti) sia un indice di democrazia.

Il teorema non mi appare dimostrabile, anzi sotto alcuni aspetti può valere addirittura il contrario. Per esempio, nella democrazia ateniese erano in pochi a votare (seppure come corpo elettorale, non come percentuale) eppure essa è rimasta a modello. Anche l'Inghilterra è stata spesso presa a modello di democrazia, eppure le donne hanno acquisito il voto da meno di un secolo.

Per me il primo aspetto di una democrazia sana è che gli eletti si preoccupino di rappresentare correttamente gli elettori. (Lasciando comunque aperta l'idea di una democrazia diretta, che sarebbe ormai gestibile grazie alla tecnologia).

Subito dopo è importante che chi fa parte di un'istituzione democratica abbia rispetto delle altre istituzioni e degli altri appartenenti alle istituzioni (per esempio il Governo dovrebbe avere rispetto della Magistratura).

Nell'attuale situazione italiana, in cui le istituzioni lottano tra di loro mentre internamente sono in preda a lotte intestine, gli eletti formano una casta sciolta dalla base elettorale (viene meglio in latino: una casta absoluta) e la partecipazione elettorale misura non la democrazia, ma il gradimento dello spettacolo, la partecipazione emotiva alla rappresentazione.

Il voto come consumo sacro
In questo contesto è fondamentale la religione consumistica sostenuta dai mass-media, la quale spinge a consumare sempre di più, in particolare quando il prezzo è basso o addirittura non si paga.

“Ungetemi tutto” disse il moribondo al prete giunto per l’estrema unzione, dopo aver verificato che l’unzione fosse gratuita. Voleva essere sicuro di non restare incastrato nel suo percorso verso il Paradiso.

Come nell’“Ungetemi tutto” il voto è una forma di consumo che assume aspetti sacri. Non si paga per votare e non ci si aspettano utili diretti dal voto dato (almeno nella grande maggioranza dei casi). L’aspetto ideologico e rituale prevale nettamente sugli aspetti utilitaristici.

Le primarie

Una conferma all’idea che il voto sia un fenomeno consumistico si può percepire dall'introduzione del ticket alle elezioni primarie, dove si pagava un contributo (tipicamente 1€) per votare. Le primarie, nelle due occasioni in cui sono state fatte, hanno avuto un successo superiore alle aspettative. (Il fatto di pagare per votare, nell'immaginario consumistico, potrebbe aver dato addirittura una sensazione di realtà, un maggior valore del voto). (1)

D'altro canto le primarie segnano anche il passaggio dal voto come merce-feticcio al voto come droga, a cui si è ormai assuefatti e di cui non si può più fare a meno, anzi si cercano dosaggi sempre più alti.
Sarebbe giunto ormai il momento di disintossicarsi dalla droga del voto e restituire razionalità alle elezioni con l’astensione. Anche questa può essere una decrescita ecologica.

Un tracollo della partecipazione alle elezioni avrebbe almeno due vantaggi:

1) esso segnalerebbe la stanchezza della popolazione nei confronti di una casta capace solo di farsi gli affari propri;
2) renderebbe il sistema molto meno controllabile da parte della politica-spettacolo, perché gli astenuti potrebbero ritornare a votare con esiti difficilmente prevedibili.

Un antico proverbio dice: “La parola che non dici è la tua schiava, la parola che hai detto è la tua padrona”. Nell’attuale situazione italiana potrebbe valere qualcosa di analogo per il voto.

Truman Burbank

Nota:
1) Sulle primarie c’è l’ottimo libro di Melchionda, Alle origini delle primarie.
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=1547

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