venerdì 21 dicembre 2012

La vera Costituzione italiana



Riporto la prima parte (principi fondamentali) della Costituzione oggi effettivamente applicata in Italia, la cosiddetta Costituzione materiale.



Art. 1.

L’Italia è una dittatura tecnocratica (1), fondata sull’usura. La sovranità appartiene alle banche, che la esercitano nelle forme a loro più gradite.


Art. 2.

Il Sistema riconosce e garantisce solo gli interessi dovuti agli usurai, siano essi singoli o preferibilmente associati in forma di banche.

Il Sistema richiede ai comuni cittadini l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica verso le banche. Tali doveri comportano il pagamento di tasse crescenti nel tempo. Le tasse pagate allo Stato verranno da esso rigirate alle banche.


Art. 3.

I cittadini si organizzano in due caste: i cittadini comuni, per i quali si applica la legge, e i membri delle elite, per i quali la legge va opportunamente interpretata di volta in volta.

All'interno di ogni casta i cittadini possono essere ulteriormente differenziati di fronte alla legge, in base a sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.

È compito del Sistema rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, lasciando di fatto alcune libertà ai cittadini comuni, impediscono il pieno sviluppo della tecnocrazia delle banche.

Art. 4.

Il Sistema riconosce a tutte le banche il diritto a fare profitto strozzando i cittadini e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al profitto delle banche.

Art. 5.

Il Sistema schifa le autonomie locali, a meno che non siano utili alla dissoluzione dello Stato. Il decentramento amministrativo viene dissuaso tramite la leva finanziaria.

Il principio del Sistema è che in prospettiva le autonomie devono sparire.

Art. 6.

Il Sistema non si preoccupa delle minoranze linguistiche, in effetti anche la lingua italiana verrà trascurata a favore della lingua inglese, vera lingua del Sistema.

Art. 7.

Lo Stato e la Chiesa cattolica cooperano nello strozzare i cittadini a favore delle banche, almeno fino a quando il Sistema deciderà di lasciarli in vita. Lo Stato e la Chiesa cattolica fingono di basarsi sui Patti Lateranensi per quanto riguarda i loro rapporti.


Art. 8.

Tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge, ma una è più uguale delle altre, ed è la Chiesa cattolica (vedi precedente art. 7).

Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno per ora diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, ma è bene che facciano attenzione, in particolare quella islamica.

Art. 9.

Il Sistema disprezza la cultura, in quanto pericolosa per il potere, promuove la sostituzione di essa con spettacoli televisivi, preferibilmente di tipo “reality”. Scienza e tecnica sono invece apprezzate, purché siano finalizzate al profitto ed al miglior funzionamento del Sistema.

Il Sistema promuove la privatizzazione del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, in modo da farci profitto.

Art. 10.

L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle necessità delle banche per quanto riguarda le relazioni internazionali. Nel caso ciò contrasti con qualche trattato internazionale, tale trattato verrà disconosciuto.

La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in base ai rapporti di forza tra l’Italia e lo Stato di provenienza dello straniero.

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, verrà respinto indietro, preferibilmente in mare aperto. Nel caso riuscisse ad arrivare alla terraferma, verrà punito con la reclusione in campo di concentramento, seguita comunque dall’espulsione.

Si possono tranquillamente estradare gli stranieri che manifestano opinioni politiche sgradite, incolpandoli di terrorismo.


Art. 11.

L’Italia rifiuta la parola guerra per indicare le sue offese alla libertà degli altri popoli e i suoi interventi armati per risolvere (o incancrenire) controversie internazionali: per indicare tali operazioni verranno usate nuove parole, per esempio “operazione di polizia internazionale”, “esportazione della democrazia”, “responsabilità di proteggere”, “difesa dei civili” e analoghe. E’ preferibile che il termine da usare per indicare gli interventi armati cambi ogni volta.

L’Italia consente le limitazioni di sovranità utili a garantire un maggior profitto alle banche, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.


Art. 12.

Resta in vigore la bandiera tricolore italiana: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. Essa sarà utile a indicare i tipici prodotti locali anche dopo l’abolizione dello Stato italiano (2). Mantiene inoltre il suo significato di identificazione della squadra per la quale gli italiani devono tifare durante le manifestazioni sportive internazionali.


Note
1) Nel seguito viene usata per semplicità la dizione “il Sistema” per indicare tale dittatura.
2) Una bandiera più adeguata per l'Italia di oggi è qui all'inizio dell'articolo. Ma non è quella solitamente usata.

giovedì 13 dicembre 2012

Specchi deformanti e classi digerenti

Riprendo un preoccupante articolo da http://www.vallesabbianews.it, che mi sembra segnalare un fallimento della politica, un girare attorno ai problemi dichiarando che essi non si possono risolvere ed in definitiva abdicando alla funzione della politica, che è quella di scremare il meglio della società, non il peggio. E invece alla politica bisogna tornare al più presto, evitando i giochi di specchi.

Lo specchio, i politici e la società

Di Ziggy

In questi ultimi anni e, segnatamente, negli ultimi recenti mesi, sempre più spesso ho sentito l'uomo della strada, i colleghi, gli amici, lamentarsi della nostra classe politica...

Uomini corrotti, si dice, di costumi morali non limpidi, molto sensibili al denaro e al potere, per niente alla "missione" che avrebbero da compiere.

I cittadini, si prosegue, hanno eletto gli uomini politici perché essi governino con intelligenza e sapienza mentre questi, non appena acquisito il potere, iniziano ad utilizzarlo per i propri scopi personali quando va bene, quando va male per affossare finanziariamente gli enti che governano o i partiti che gestiscono, sprecando soldi e risorse che, soprattutto nell'attuale congiuntura economica, non sono abbondanti e a buon mercato.

A questo punto, in genere, la discussione viene classicamente chiusa con veemenza dal primo che dice: "che ci vogliamo fare, i politici di oggi sono tutti ladri!".

Leggendo il romanzo di Stendhal, "Il Rosso e il Nero", che consiglio a tutti i lettori che ancora non lo conoscessero, mi sono imbattuto in questa frase, che riporto:
"Eh, signori, un romanzo è uno specchio che passa per una strada maestra. Ora riflette nei vostri occhi l’azzurro dei cieli, ora il fango dei pantani. E voi accusate di essere immorale l’uomo che porta lo specchio nella gerla! Il suo specchio mostra il fango, e voi accusate lo specchio! Accusate piuttosto la strada, e più ancora l’ispettore stradale che lascia imputridire l’acqua e formarsi i pantani.".
Il concetto originario, come si vede, riguarda il romanzo.

A mio parere tale concetto si può parimenti applicare anche alla nostra classe politica.

Credo che essa sia esattamente lo specchio della società italiana: una società dove i "furbi" si sprecano, dove chi fa il proprio dovere e ha l'orgoglio di dirlo in pubblico, spesso viene additato, volendo usare un eufemismo, come ingenuo;

dove l'abitudine di predicare bene e razzolare male è endemica;

dove per denaro si è disposti a fare tutto e, subito dopo, il contrario di tutto.

Non guardiamo solo lo specchio, la nostra classe politica, concentriamoci invece su ciò che lo specchio riflette, ovvero la società in cui tutti noi viviamo.

Si badi bene: questa interpretazione è molto più pessimistica della precedente.

Una classe politica, infatti, dopo qualche anno si può sostituire.
Molto, ma molto più complesso risulta invece cambiare i riferimenti culturali e morali di un paese, di una intera società: per farlo ci vogliono anni e tanto lavoro, a cominciare dalla formazione scolastica sulla quale, anche per questo motivo, sarebbe necessario investire di più.

Fonte: http://www.vallesabbianews.it/notizie-it/Lo-specchio,-i-politici-e-la-societ%C3%A0-22600.html
Sembra essere diventata una parola d'ordine quella di dare la colpa alla società corrotta per scagionare i politici. Viene pompata incessantemente dall'area del PD, che vuole giustificare così il suo dare da mangiare merda alla popolazione, perché realisticamente è l'unica via possibile (o nella lingua imperiale TINA: There Is No Alternative).

Certo il PD può contare sul suo seguito di piddini, ben descritti da Bagnai (su goofynomics), abituati a pascersi con ciò che gli viene fornito, però il discorso è scorretto.
Intanto perchè i numeri dicono il contrario: una percentuale altissima di parlamentari è costituita da condannati e inquisiti. Un esempio:

Lo sapete che la percentuale di pregiudicati in parlamento è del 15%, più che a Scampia (10%)!?
( http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20090101113004AAMqDiP )
Allora i politici non sono lo specchio della società, ma della sua parte peggiore.
Poi va considerato che il potere implica responsabilità, un atto criminale operato da chi ha potere è più grave rispetto allo stesso atto compiuto da un cittadino comune. Ciò in molti casi è codificato nella legge italiana, per esempio per parecchie infrazioni è un'aggravante il fatto che tale infrazione sia compiuta da un pubblico ufficiale.

Ma è ancor meglio osservare i paesi esteri, dove i politici si dimettono per quelli che a noi appaiono scandaletti: lì l'opinione pubblica ha interiorizzato questa idea del potere che implica responsabilità e non perdona i politici corrotti.

C'è poi da considerare che il rimandare il problema alla società rientra in quella fallacia che Umberto Eco chiamava "benaltrismo": "ben altro ci vuole che un ricambio della classe politica. Ci vorrebbe un ricambio totale della società!"
Come spiegava Eco, il benaltrismo porta a non concludere mai niente, perchè qualsiasi azione sarebbe una minuzia, prospettando sempre grandiose azioni al livello superiore.
http://it.wikipedia.org/wiki/Benaltrismo

L'opposto del benaltrismo criticato da Eco è il riformismo nella sua forma buona (prima che arrivasse il PD), quello di Federico Caffè, che cercava di ottenere risultati nel breve termine, in tempi umani. Insomma il riformismo che si accontentava ma era capace di correggersi in corso d'opera e non si faceva illudere da una lontana rivoluzione proletaria.

E allora torniamo alla politica, evitando di scaricare sulla popolazione le colpe della classe dirigente (la quale troppo spesso è convinta che basti essere classe digerente).

Truman
13.12.2012

mercoledì 7 novembre 2012

Due cent per un presidente


Finora ho evitato di commentare il grande show delle presidenziali USA. Gli spettacoli mi interessano poco.


Ma adesso che il carnevale mediatico raggiunge il suo picco può valere la pena di fornire i miei due cent di commenti.

In un sistema putrefatto e marcio fino al midollo, come sono oggi gli USA, è normale che in tutte le competizioni vinca il peggiore. Ci possono essere eccezioni (ci torno tra poco) ma non è il caso di oggi.

Il sistema elettorale USA fu costruito per favorire i ricchi ed è stato affinato con cura per evitare in tutti i modi che il popolo potesse decidere alcunché. (1)

Ma la fase più interessante del sistema elettorale degli USA è quella che segue le elezioni. Nel caso il neoeletto presidente fosse riuscito a imbrogliare i suoi padroni e si mettesse in testa di governare per il popolo una volta ricevuta l'investitura, egli viene eliminato.

L'eliminazione solitamente è fisica (una lunga sequenza di presidenti morti prematuramente dovrebbe ben certificare l'esistenza di questa fase) ma può anche essere mediatica come avvenne nel caso di Clinton che non si decideva a fare la guerra in Jugoslavia.

Obama lo abbiamo già visto. E' stato molto obbediente e meritava la riconferma.
Probabilmente la fase post elezioni in questo caso sarà poco interessante.
Evidentemente era molto difficile trovarne uno peggio di lui.

Chiaramente ci sono ripercussioni in Italia: qui i maggiori sostenitori di Obama sono nel PD, il partito erede del PCI, che è progressivamente diventato il più grande fiancheggiatore degli USA. Per fare un capovolgimento del genere serviva molta faccia tosta e supremo sprezzo del ridicolo, ma i leader del PD, grigi, amorfi e refrattari, non si curano del ridicolo, essi hanno in mente cose ben più serie. Pensano al futuro.


A loro toccherà a breve (dopo le prossime politiche) completare la demolizione della democrazia in Italia.

Sempre se glielo lasciamo fare.


Truman


7.11.2012


NOTA:
1) Mi resta la sensazione che i meccanismi per raggirare il popolo e fare in modo che, in mezzo al clamore mediatico, tutte le decisioni vengano prese da istituzioni non elettive, siano stati poi replicati ed affinati all'ONU (vedi Consiglio di Sicurezza, FMI, WB) e in Europa (vedi Commissione europea, Consiglio dell'Unione europea, …).

lunedì 1 ottobre 2012

Il suono di una mano sola

Il maestro Mokurai aveva un piccolo protetto, un certo Toyo, un ragazzo appena dodicenne. Toyo vedeva che i discepoli più grandi andavano nella stanza del maestro per essere istruiti nel Sanzen, e che il maestro dava loro dei koan per aiutarli a controllare la mente.

Anche Toyo voleva praticare il Sanzen.

«Aspetta » disse Mokurai «sei troppo giovane!»

Ma poiché il piccolo insisteva, l'insegnante finì per acconsentire.

Quella sera, all'ora prestabilita il piccolo Toyo si presentò alla porta di Mokurai.

Battè il gong, fece tre rispettosi inchini e andò a sedersi in silenzio davanti al maestro.

«Tu puoi sentire il suono di due mani quando battono l'una contro l'altra» disse Mokurai.

«Ora mostrami il suono di una sola mano».(Il seguito è qui)

***

Ripenso a questo koan zen quando sento parlare del debito pubblico. Il debito pubblico è il suono di una sola mano e pone domande a cui non si può rispondere.


Perchè per ogni debito c'è il credito speculare, ma oggi si parla sempre del debito e dei debitori, senza guardare al credito e ai creditori.

Anche in Italia andiamo dietro al mantra del debito. Eppure Pacioli era italiano. La partita doppia l'abbiamo inventata e poi dimenticata.

sabato 28 luglio 2012

La razza pura della sinistra

Ancora una volta ritrovo la ricerca della razza pura nei discorsi della sedicente sinistra.

Dice Germano Monti nell'articolo "Pacifismo nero" (dove critica i sostenitori dello stato siriano e di Assad):

la blasfema commistione fra neofascisti e sedicenti “antimperialisti” è un dato di fatto...

Ritrovo in persone che si credono di sinistra la preoccupazione della razza pura. Il vero popolo di sinistra -nella loro concezione- non agisce sulla base di valutazioni di merito, ma sta prima di tutto attento a non mescolare il proprio DNA con quello di altre razze. Insomma il vero "sinistro", secondo loro, deve essere incontaminato, di razza pura, altrimenti è un bastardo, un meticcio da eliminare o quanto meno da ignorare. A volte il discorso mi sembra ancora più forte, chi si mescola con persone di diversa estrazione è un rosso-bruno o semplicemente "un fascista".
Il delirio raggiungeva il massimo in un articolo di Valerio Evangelisti, che proponeva di passare con il Baygon tutti questi rosso-bruni (implicitamente scarafaggi). Viene naturale paragonare la fissazione della razza pura alle leggi razziali dei nazisti ed il Baygon di Evangelisti allo Zyklon usato per far fuori gli ebrei.
Insomma bisogna ricordare che la fissazione per la razza pura è tipica di un filone di pensiero storicamente perdente e pure criticabile dal punto di vista morale.

Io preferisco il materialismo storico di Marx ed Engels, che invitava a guardare i fatti nella loro nuda realtà, spogliandosi delle proprie sovrastrutture ideologiche ed idealistiche.

In sintesi: in Siria l'imperialismo è all'attacco per devastare il paese e bisogna difendere le istituzioni siriane, non i mercenari finanziati dagli imperiali. Ma a chi è imbevuto di sogni questo discorso può apparire complesso. Rileggesse Marx, che gli farà bene.

http://www.giovanicomunisti.it/wordpress/archives/3750/comment-page-1#comment-5527

mercoledì 27 giugno 2012

La corsa dei lemming


Mi segnalano un articolo di Brancaccio, “SINISTRA, OCCORRE UNA STRATEGIA PER USCIRE DALL’EURO” e ancora una volta leggo temi triti e ritriti.

Nell'analisi di Brancaccio c'è almeno un errore di fondo, esso considera che il PD sia un partito di sinistra, o almeno che esista un'area intellettuale (il giornale Repubblica?) che porta avanti le idee della sinistra.

In realtà la "sinistra" di Brancaccio è solo un'accozzaglia di venduti e traditori.

Detto questo, in questo articolo come in tanti altri, manca sempre l'analisi di fondo della crisi, si studiano le pagliuzze per cercare di prevedere il futuro. Ha qualcosa del pensiero magico questo modo di ragionare, come quelli che studiano i fondi di caffè nella tazza per vaticinare.

Bisogna ritornare agli elementi di base. Proviamo a elencarli ordinatamente.

1) Nel mondo c'è un eccesso di denaro colossale, nato dai profitti della finanza, lasciata libera di speculare alle spalle dei popoli. Questo eccesso di denaro non è più controllato dal mondo reale (l’economia reale delle persone), ma lo influenza pesantemente.

2) La globalizzazione ha fottuto il capitalismo. Per lungo tempo un sistema basato sul profitto criminale ha potuto mostrare la sua faccia buona (il benessere dell'occidente) mentre produceva sangue e disperazione nelle colonie (il terzo mondo schiavizzato tramite la finanza). Alla lunga tutte le linee di circolazione si sono richiuse ed il sistema criminale sta colpendo sul proprio cuore, i centri della finanza. Il tentativo di queste elites imbecilli è di spremere i popoli per rimpolpare le banche. Ma non c'è più trippa per gatti.
Più spremi le popolazioni e meno denaro entra in circolo (il caso della Grecia è esemplare).
Il sistema è fallito. Si può solo tentare di gestire il fallimento, se i criminali della finanza accettano di essere messi nell'angolino.

3) Per uscire dalla crisi bisogna sgonfiare la bolla finanziaria, oppure essa esploderà all'improvviso. E siamo molto vicini a questa esplosione.

4) Le persone che hanno creato questo stato di cose sono da tempo incapaci di controllare il processo. Sono solo capaci di gonfiare la bolla sperando che regga un altro poco. Vanno rimosse.

5) Non tutte le elites sono d'accordo in questa corsa dei lemming alla distruzione. Sanno che l'uscita dalla bolla può essere una guerra mondiale che lascerà solo cocci, oppure un'esplosione comunque devastante per tutti.

6) Se si vuole tentare di sgonfiare la bolla bisogna fare esattamente il contrario di ciò che è stato fatto finora: bisogna ridurre la quantità di moneta circolante (con fallimenti controllati di banche e finanziarie) e ridurre la sua libertà di movimento, quindi è opportuno tornare a valute nazionali ed a banche più piccole, basate sul territorio (e sull’economia reale).

7) La Germania non necessariamente sta lavorando contro di noi nel sostenere l'austerità. Sicuramente sta lavorando contro la crisi e non a suo favore. I crolli di borsa sono diminuzioni di denaro circolante e quindi lievi sgonfiamenti della bolla.
La Germania sa bene che il crollo dell'euro sarebbe molto dannoso per i tedeschi, ed insistere nell'austerità porterà ad un crollo dell'euro.
Ma finanziare ulteriormente le banche facendo finta di aiutare gli stati è ancora peggio. E la Germania è pronta in qualsiasi momento a tornare al marco, che non è mai uscito di corso. Ha la sua uscita di sicurezza.

8) Gli USA rischiano grosso. A loro serve che ci sia l'euro e che tale euro sia debole, in modo da non affossare il dollaro. Se salta l'euro salta anche il dollaro ed il sistema delle grandi banche d'affari internazionali (quelle che creano solo danni). Non è detto che le piccole banche locali non sopravvivano a tale crollo e potrebbero anche averne vantaggi dopo un po'. Dipende se gli Stati ricominciano a fare il loro dovere.

9) Un possibile accordo con le elites potrebbe essere di fare scoppiare le grandi banche d'affari dopo aver isolato un piccolo nucleo destinato a sopravvivere dal resto destinato al fallimento (la good company e la bad company). Per loro potrebbe essere un'opzione molto migliore del crollo improvviso che si può verificare in qualsiasi momento.

10) Che fare? La risposta è sempre il motto strategico dei no-global, bisogna pensare globale ed agire localmente, il che si traduce nell’estromettere i Quisling della finanza fallita e chi li sostiene, ritornando al territorio, alle persone, alle aziende, alla società. E alle competenze che si oppongono ai chierici della religione economica e ai servi dei mass-media.

11) L'Italia cosa può fare? Se ci fosse un capo di stato responsabile in questo momento lavorerebbe per nazionalizzare la Banca d'Italia e preparare la circolazione della lira o altra valuta nazionale (preferibilmente in parallelo all'euro). Il fatto che Monti e Napolitano non ci pensano minimamente significa che dovremo levarli dalla loro poltrona. E non sarà certo Bersani che ci salverà. Dobbiamo salvarci da soli.

Truman
26.06.2012

venerdì 8 giugno 2012

C'era una volta l'Europa



Era la fine degli anni '80 e tornavo dal Sud-est asiatico (quello che altri chiamano estremo oriente).

Tre settimane a sentire lingue incomprensibili, a vedere ambienti strani, a provare nuovi sapori e odori, a tentare di capire menti lontane dalle nostre.

Un viaggio di lavoro che era stato indubbiamente istruttivo, ma cominciavo a essere stanco.
Arrivo all'aeroporto di Francoforte la mattina, ancora cinque ore da aspettare per il volo per l'Italia. C'è tempo a sufficienza per uscire dall'area transiti e fare un giro all'interno dell'aeroporto.
Faccio quindi la fila al controllo passaporti per uscire.
E qui, inaspettato, il doganiere prende il mio passaporto, sorride e mi dice "buongiorno". In italiano. Poi mi restituisce il passaporto e mi invita a passare.

La traduzione per me è: "Non mancano ancora diverse ore per arrivare a casa. Sei già a casa tua."

Questo ricordo buca gli anni per ricordarmi che l'Europa non era solo un consorzio di banche. Milioni di cittadini gradivano l'idea di una casa comune europea ed erano disposti a fare la loro parte per contribuire.
Secoli di guerre potevano essere visti come un passato da seppellire per fare uno spazio comune di milioni di cittadini.

Oggi mi spiegano che non poteva funzionare. Quello che lo spiega meglio è Bagnai, con la sua profonda conoscenza delle aree valutarie ottimali. Non c'erano le basi matematiche per garantire la stabilità dell'economia europea, anzi è dimostrabile che la costruzione di una comunità politica a partire dalla moneta comune era destinata al fallimento.

Eppure questo modo di ragionare mi ricorda qualcosa. Mi ricorda i professori dell'università che a volte raccontavano di come gli ingegneri avevano risolto i problemi prima che fosse dimostrato matematicamente che tali problemi erano risolubili. Anzi a volte dei problemi erano stati risolti anche quando i matematici avevano dimostrato che non erano risolubili.

Ad esempio, mi pare che poco più di un secolo fa fosse dimostrato che i mezzi più pesanti dell'aria non potevano volare.

Sono più sicuro sulle costruzioni civili. Poco dopo l'anno mille vennero costruite alcune cattedrali immortali, Chartres e poi Notre Dame de Paris, ad esempio.
La scienza delle costruzioni non era ancora stata inventata. Queste cattedrali, per come erano pensate dai loro progettisti, erano destinate a crollare, perché non avevano tenuto in conto la spinta del vento. Furono corrette in corso d'opera, mentre si manifestavano le prime crepe. Furono aggiunti gli archi rampanti. E oggi svettano maestose. Alla faccia dei teorici.

E allora l'Europa secondo me si poteva fare, contro la teoria e aggiustando le crepe. Ma doveva essere un'Europa dei popoli e non dei banchieri.

giovedì 10 maggio 2012

RICONQUISTARE LA SOVRANITÀ: LE PROPOSTE

di Stefano D'Andrea
Appello al Popolo


Nel seguito la seconda parte (le proposte) del Documento di analisi e proposte dell'Associazione Riconquistare la Sovranità. L'associazione è stata costituita il 21 marzo da trentacinque soci.
Le proposte:
§ 13 Riconquistare la sovranità;
§ 14 Combattere e sconfiggere prima il nemico vicino; poi il nemico lontano.
§ 15 Recedere dai Trattati europei: i provvedimenti d'urgenza e le linee strategiche della politica economica italiana.
§ 16 E’ inutile dividerci ora su come eserciteremo un potere che oggi non abbiamo e che dobbiamo riconquistare
§ 17 E' inutile dividerci sulla ricollocazione geopolitica dell'Italia. Alcuni principi accettabili da tutti coloro che intendono riconquistare la sovranità.
§ 18 I tempi: una valutazione realistica della situazione e del suo prevedibile svolgimento


***


13. Riconquistare la Sovranità
Che fare? Si impone la piena riconquista della Sovranità nazionale e quindi popolare: per ricollocare la Costituzione al vertice del nostro ordinamento, affinché torni ad essere il faro luminoso che guida il popolo italiano nella disciplina dei rapporti economici; e per attuare uno sganciamento, “culturale” oltre che politico, dagli Stati Uniti d’America e dalle ideologie che essi hanno diffuso nel loro esclusivo interesse e a vantaggio del grande capitale.

14. Combattere e sconfiggere prima il nemico vicino; poi il nemico lontano
Due sono le fonti delle direttive culturali, giuridiche e politiche, obbedendo alle quali siamo giunti alla seconda morte della Patria: l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America.

Di quale fonte dobbiamo liberarci prima?
Senza dubbio dell’Unione europea, per una pluralità di ragioni.

In primo luogo, perché i vincoli statunitensi sono soprattutto di natura culturale e politica. Essi richiedono esercizio della sovranità e volontà di essere indipendenti, non sovranità (salvo i vincoli assunti nei confronti della NATO). Al contrario, l’Unione europea limita del tutto e ormai ha pressoché estinto la sovranità economica italiana. Sottrarci alle direttive “culturali” e alle pressioni politiche statunitensi è oggi giuridicamente (e quindi astrattamente) possibile. Invece, la sottrazione ai vincoli europei e la riconquista della sovranità economica implicano il recesso dai Trattati europei.

Senza recedere dai trattati europei, le norme di legge ordinaria che dovremmo emanare per sottrarci alla terribile crisi che è in corso e che comunque durerà fino a quando sarà stata riconquistata la sovranità, non possono essere validamente emanate nemmeno all’unanimità dal Parlamento Italiano. Su di esse prevarrebbe il diritto europeo, che, di fatto, si impone anche sulle norme italiane di rango costituzionale che disciplinano la materia economica.

In secondo luogo, non si può negare che nell’opinione pubblica il problema economico è avvertito in misura sensibilmente maggiore del problema militare e di politica estera. Soltanto una nazione che abbia risolto o abbia adottato i necessari provvedimenti per risolvere il problema economico può sperare di perseguire la piena indipendenza nel campo della politica estera e militare. E il problema economico si può risolvere soltanto recedendo dai trattati europei e prendendo una serie di provvedimenti necessari, che ora i Trattati europei ci impediscono di adottare.

In terzo luogo, risponde alla logica e all’esperienza storica che un paese economicamente sovrano, nel momento in cui adotta i provvedimenti necessari alla organizzazione, direzione e protezione del proprio sistema economico, si rende, in modo automatico, più indipendente o meno dipendente dalle grandi potenze che cercano di influenzarne la politica. Sovranità economica e liberazione sono la medesima cosa.

La storia italiana dal 1947 alla metà degli anni ottanta testimonia che prima che si fossero verificate limitazioni gravi alla sovranità economica, l’Italia ha tenuto, in politica estera, un atteggiamento più dignitoso e meno dipendente dagli Stati Uniti, nonostante la presenza di basi militari straniere sul proprio territorio.

Una proposta politica che sbandierasse e ponesse tra la priorità l’uscita dell’Italia dalla NATO sarebbe una proposta di nicchia e protestataria, non adatta a coagulare il necessario consenso e a far fronte alla grave minaccia che incombe sull’Italia.

Tutto ciò, ovviamente, non vuol significare che non si debba sostenere che nella prospettiva di lungo periodo le basi militari straniere debbano essere cacciate dal suolo italiano, riaffermando la piena sovranità sulla totalità del territorio nazionale, e che l'Italia debba uscire dalla NATO; né vuol significare che nella prospettiva di breve e medio periodo non si debba proporre che l'Italia debba suggerire e imporre alla NATO (che paradossalmente delibera le azioni con il consenso di tutti gli stati, salvo gli astenuti) di adottare strategie esclusivamente difensive e debba rifiutarsi di partecipare ad altre guerre di aggressione.

Significa soltanto che ci si colloca in una prospettiva realistica, consapevole che la riconquista piena della sovranità è un progetto di lunga durata, il quale impone di stabilire priorità. L'obiettivo non si realizzerà con declamazioni che pongono tutte le finalità sul medesimo piano, senza un ordine logico e strategico.

In ogni caso, è evidente che la eventuale implosione o comunque disintegrazione dell’Unione Europea e la riconquistata sovranità economica, e quindi la rinnovata indipendenza degli Stati Europei, sgretolerà o comunque metterà in crisi l’alleanza atlantica. Pertanto la lotta contro il nemico vicino è al tempo stesso una lotta contro il nemico lontano.

15. Recedere dai Trattati europei: i provvedimenti d’urgenza e le linee strategiche della politica economica italiana

Occorre dunque recuperare la piena sovranità economica. E per far ciò è necessario esercitare un atto di recesso, previsto, al ricorrere di determinate condizioni, dal diritto internazionale consuetudinario; e previsto esplicitamente dai Trattati europei, senza che esso sia subordinato ad una o altra condizione.

Peraltro, si deve essere consapevoli che – salvo l'ipotesi che si verifichino le circostanze previste dal diritto internazionale consuetudinario (rilevante mutamento delle circostanze; o addirittura sopravvenuta impossibilità di adempiere); ma allora vorrà dire che si sarà verificato un crollo dell'economia e non semplicemente una grave crisi – la procedura di sganciamento degli Stati prevista dal Trattato di Lisbona, la quale inizia con un atto di recesso, può durare due anni e prevede una negoziazione a conclusione della quale, pur in mancanza di un accordo, lo Stato recedente esce dall'Unione. Orbene, due anni sono ovviamente troppi se nel frattempo lo Stato recedente fosse costretto a rispettare i vincoli posti dall'Unione Europea, non potesse esercitare la sovranità in materia economica e restasse esposto al “giudizio dei mercati”.

Pertanto, deve essere chiaro che lo sganciamento, pur volendo formalmente utilizzare la procedura prevista dal Trattato di Lisbona, avverrà con provvedimenti di rottura dell'ordine giuridico dell'Unione Europea, che anticiperanno il recesso e che dovranno essere adottati un venerdì, dopo la chiusura della Borsa italiana, dal Governo (non dal Parlamento) e che dovranno contenere necessarie misure d'urgenza.

In particolare, il recesso dovrà essere accompagnato dall’immediato ritorno alla valuta nazionale e da un provvedimento volto ad impedire la fuga di capitali dall’Italia, che vieti tutti i trasferimenti di valuta e di titoli, nonché limiti e sottoponga a controllo i pagamenti.

Adottati i provvedimenti d’urgenza, si dovrà promuovere una politica volta a contenere le divisioni sociali e territoriali. Si imporranno: una autonoma politica economica espansiva; trasferimenti di risorse ordinari e straordinari nelle zone e alle categorie particolarmente colpite dalla crisi; il ripristino del controllo dei capitali e dei saggi di interesse interni; una ricollocazione all’interno della maggior parte del debito pubblico italiano, anche attraverso provvedimenti che impongano ai cittadini italiani, in proporzione alle attività finanziarie possedute, la vendita di titoli dei grandi intermediari finanziari e bancari, per l’acquisto a basso tasso di interesse, di titoli del debito pubblico italiano; una maggiore progressività della imposizione fiscale; la tutela ad ogni costo dell’agricoltura italiana, nei confronti delle imprese agricole straniere che possano pregiudicarla e nei confronti della grande distribuzione e dell’industria agroalimentare. Investimenti strategici pubblici e convenzioni con multinazionali per la produzione in Italia di computer, telefonini, televisori e altri oggetti di consumo comune, assicurando alle imprese produttrici rilevanti quote di mercato; reintroduzione della stabilità del rapporto di lavoro vigente prima del cosiddetto Pacchetto Treu. Nazionalizzazione delle grandi banche e di alcune grandi assicurazioni ai sensi dell’art. 43 della Costituzione.

Sarebbe preferibile che l'uscita avvenisse nel medesimo contesto temporale dell'uscita di altre nazioni del sud Europa ed eventualmente dell'Europa dell'Est (ed è probabile che ciò accadrà), per rendere più agevoli le negoziazioni con l'unione Europea. L'importante è che sia chiaro che non si tratterà di un passaggio indolore e che lo scontro e il contrasto politico con la Germania ed altri paesi dell'Unione Europea sarà molto probabile: si verificherà se le parti non troveranno un accordo. La libertà ha, ed è bene che abbia, un costo.

16. E’ inutile dividerci ora su come eserciteremo un potere che oggi non abbiamo e che dobbiamo riconquistare
Tutti i provvedimenti segnalati saranno volti a ricostituire una economia sociale e popolare, improntata alla giustizia sociale e conforme ai principi costituzionali. Una volta invertita la rotta, e riconquistata la sovranità economica, andranno riviste tutte le normative di recente introduzione, in materia economica (come la legge fallimentare) o in materie di diritti sociali (in particolare scuola e Università pubbliche).

Tuttavia, non è importante, possibile e opportuno affrontare oggi il problema di come debba essere esercitata la sovranità. Servirebbe soltanto a dividerci. Mentre è necessario perseguire la massima unità.

Come debba essere esercitata la riconquistata sovranità, lo deciderà democraticamente il popolo italiano. In questo momento è possibile indicare soltanto le linee di fondo tracciate in questo Documento. Esse però non sono poca cosa e sono davvero rivoluzionarie; segneranno un solco tracceranno la direzione; imporranno corollari.

17. E' inutile dividerci sulla ricollocazione geopolitica dell'Italia. Alcuni principi accettabili da tutti coloro che intendono riconquistare la sovranità.
Nemmeno ha senso dividerci oggi sulla futura ricollocazione geopolitica dell'Italia. Troppe le variabili e quindi troppe ed eventualmente molto diverse le situazioni ipotetiche nelle quali ci si troverà ad operare.

E' possibile soltanto tracciare linee e principi comuni, anche al fine di non creare divisioni che oggi sarebbero irragionevoli e infantili.

Tutti gli stati del sud Europa che usciranno dall'Unione Europea dovranno essere invitati a costituire una zona di libero scambio, con monete diverse, sulla falsariga del vecchio mercato comune e quindi stabilendo notevoli deroghe ai principio della libera circolazione dei capitali, dei servizi e delle merci. Alcuni settori strategici, come, per esempio, il settore bancario e assicurativo, dovranno rigorosamente essere tenuti fuori dagli accordi. Nella disciplina di questi settori la sovranità dovrà essere assoluta. Gli Stati partecipanti manterranno comunque poteri di dogana nei confronti dei paesi terzi.

La possibilità di accordi commerciali per il procacciamento di fonti energetiche non soggiacerà a vincoli di sudditanza politica con i quali si vorrebbe limitare la libertà dell'Italia nel perseguire una propria politica degli acquisti. Con gli stati fornitori dovranno essere stipulati trattati che li vincolino ad acquistare e far acquistare dalle loro imprese nazionali merci e servizi italiani per un importo tendenzialmente corrispondente al valore dei nostri acquisti di energia. Saranno preferiti gli stati-fornitori che accetteranno queste condizioni.

Dovrà essere promossa una alleanza militare tra stati europei, indipendenti e sovrani, fondata sul coordinamento tra gli eserciti nazionali, senza alcuna creazione di un esercito comune. Quali possano essere questi stati europei non è possibile dire, perché tutto dipenderà dalla situazione che si verrà a creare dopo il recesso dall'Unione Europea degli Stati del sud Europa, nonché di molti stati dell'est.

La repubblica italiana si adopererà per favorire lo sviluppo, nell'ambito delle industrie europee della difesa, principalmente delle industrie dei paesi che aderiranno all'alleanza militare, di tutte le tecnologie necessarie alla realizzazione dei sistemi d'arma necessari alla difesa degli stati partecipanti all'alleanza. In particolare, nessun settore tecnologico strategico dovrebbe dipendere da tecnologie e conoscenze scientifiche estranee ai paesi alleati.

18. I tempi: una valutazione realistica della situazione e del suo prevedibile svolgimento
Il Governo Monti proseguirà la politica di attuazione delle direttive dell'Unione europea, volta al rispetto dei vincoli posti dall'Unione; una politica di austerità, depressiva e di impoverimento di larghe fasce della popolazione.

E' possibile che già alle prossime elezioni politiche, in Parlamento riusciranno ad approdare forze dichiaratamente sovraniste. Ma non c'è da dubitare che il nuovo governo – espressione di quello che è sempre stato il partito unico delle due coalizioni ovvero appoggiato da una soltanto delle coalizioni del partito unico – proseguirà, almeno inizialmente, lungo la strada percorsa dal Governo Monti.

Il deterioramento della situazione economica, la discesa del prodotto interno lordo e l'aumento della disoccupazione, della povertà e della violenza proseguiranno. Niente si può dire, invece, sul ritmo della discesa del PIL e dell'aumento di disoccupazione e povertà. Se la BCE acquisirà il ruolo di acquirente residuale dei titoli del debito pubblico degli stati (ipotesi invero improbabile, almeno se intesa in senso assoluto), le crisi del debito potrebbero momentaneamente essere risolte. Resterebbero tuttavia gli squilibri e i deficit nella bilancia dei pagamenti causati dall'euro a danno dei paesi del sud Europa; i trattati di libero scambio, stipulati dall'Unione Europea con i paesi terzi, indeboliranno ulteriormente le imprese agricole italiane; la dogana unica europea sarà incapace di difendere interi settori produttivi dei paesi del sud Europa dalla concorrenza dei paesi emergenti.

Se le cose non miglioreranno per magia, entro tre anni, l'Italia si troverà pressappoco nella condizione attuale della Grecia, con disoccupazione che si aggirerà tra il 15 e il 20%, con decine di migliaia di esercizi commerciali e decine di migliaia di imprese che chiuderanno. A quel punto anche il fronte globalista e fanatico servitore dei progetti dell'Unione Europea avrà avvertito crepe e avrà cominciato a disintegrarsi. In Grecia attualmente circa il 30% dei cittadini, di orientamenti politici diversi e anche contrastanti sotto altri profili, desidera l'uscita dall'Unione Europea. Come ha scritto Mikis Theodorakis, "L'unica forza che può realizzare questi cambiamenti rivoluzionari è il popolo greco, unito in un enorme Fronte di Resistenza e Solidarietà.

L'associazione Riconquistare la Sovranità, in vista di quel momento, si propone, con pazienza, realismo, e intelligenza, di diffondere le idee sovraniste e le analisi e le proposte contenute in questo documento; di unire una massa critica di cittadini che sia la più ampia possibile; e di promuovere il Fronte di Resistenza e Solidarietà del Popolo Italiano.

Le analisi, sulle quali le proposte sono fondate, sono state pubblicate, divise per parti, su www.appelloalpopolo.it
Link:
http://www.appelloalpopolo.it/?p=6342

09.04.2012

domenica 1 aprile 2012

Scienza e democrazia

Su http://www.scienceanddemocracy.it/ trovo un dibattito su Scienza e democrazia. Molti i temi trattati, alcuni sicuramente interessanti.
Però ho qualche dubbio sull'impostazione generale.
Nel seguito un mio commento un po' critico, che ho lasciato sul sito, ma non so se verrà pubblicato.

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Molta la carne al fuoco in questo dibattito e diversi temi appaiono interessanti.
Ha presumibilmente senso considerare alcuni elementi di contorno e paradossi di base, non perchè si voglia giocare sui temi proposti, ma perchè i confini ed i paradossi aiutano ad individuare la Gestalt del fenomeno "scienza" nella società attuale.
Così come nello studio delle funzioni matematiche si tenta di individuare il comportamento al limite allo scopo di tracciare una forma, i paradossi possono aiutare a vedere la forma del fenomeno "scienza".
1) Perchè "Science and democracy" nella lingua di Shakespeare? La lingua di Galileo non andava bene?
2) Il dibattito appare sponsorizzato da una "Fondazione dei diritti genetici". E' compatibile la sponsorizzazione degli interventi con la democrazia (anche prescindendo dalla scienza)?
3) La scienza appare oggi come la disciplina maggiormente di successo nello spiegare il mondo intorno a noi, quella che meglio riesce a rispondere ai problemi ontologici di base che ogni individuo si pone appena comincia a ragionare (Chi sono io? Cos'è il mondo intorno a me? Esistono gli altri?). Essa appare come la disciplina maggiormente indicata a dare LE RISPOSTE. Ma è fondata la fiducia nelle risposte della scienza?

Comincio dal terzo punto. La scienza si basa su una fiducia, quasi una certezza, che il mondo sia conoscibile. Ma questa fiducia non è dimostrabile dall'interno della scienza (ricordare Godel). A tutti gli effetti è metafisica. Ricordo che il materialismo, ad esempio, è prima di tutto una scelta metafisica. Su un assunto metafisico viene costruito l'edificio della scienza. Ma nessun edificio è più solido delle sue fondamenta.
A conforto della scelta della scienza come disciplina fondamentale molti considerano i suoi successi. E assumono così un atteggiamento di rispetto e devozione verso i suoi sacerdoti. Un atteggiamento che alcuni chiamerebbero "fede". E la metafisica si rinforza con la teologia.
Le fondamenta restano sempre quelle.

Andiamo al secondo punto. Ha senso l'interesse economico come spinta per ricercare conoscenza scientifica?
Secondo me, in un'ottica a breve esso può anche portare risultati. Ma in sostanza l'interesse economico si oppone all'ansia di cercare principi fondamentali alla base della scienza. La scienza diventa una forma di Scolastica, dove si chiosano all'infinito i temi consentiti, ma mai si affonda il coltello (o meglio il bisturi di Occam).

Il primo punto riporta agli obiettivi del dibattito ed allo Zeitgeist attuale. La scienza ha molto successo come strumento di controllo sociale, ma bisogna avvicinare i cittadini ai suoi discorsi per mantenere e potenziare gli assetti di potere garantiti dalle istituzioni scientifiche. L'uso della lingua inglese è funzionale allo scopo di far vedere la scienza vicina al linguaggio dei mass-media ed al sistema commerciale. Credo Debord direbbe che la "Società dello spettacolo" ha i suoi modi di esprimersi e l'uso dell'inglese funziona bene allo scopo di promuovere in definitiva la genetica, quel ramo delle scienze biologiche che non sa distinguere un vivo da un morto.

Rimescolamento delle carte

Oggi assistiamo ad un rimescolamento delle carte della politica italiana.

Vediamo un'alleanza oggettiva di PdL e PD, che contrasta con la posizione che essi avevano alle ultime politiche, in cui ognuno dei due aveva come programma principale la lotta all'altro.
Per il PD il pericolo era Berlusconi e il "berlusconismo", per il PdL il nemico da combattere era il comunismo, le "toghe rosse" e le tasse.

Adesso i due partiti alleati mostrano che tutti i loro proclami erano fuffa per il popolo, il quale era il vero nemico da combattere. I termini "maggioranza" e "opposizione" che alcuni giornalisti ancora usano, non si sa più che significato abbiano.

Suggestivo il fatto che i partiti minori alleati dei partiti di massa, cioè IdV alleato di PD e Lega alleata del PdL, sono entrambi all'opposizione.

Almeno un pregio il "governo" Monti lo ha avuto. Ha mostrato che la definizione di Grillo del PDpiù o meno elle, non era un gioco, ma una realtà sostanziale.

venerdì 23 marzo 2012

RICONQUISTARE LA SOVRANITÀ: L'ANALISI


di Stefano D'Andrea
Appello al Popolo

Nel seguito i primi dodici paragrafi (la prima parte) del Documento di analisi e proposte dell'Associazione Riconquistare la Sovranità. L'associazione è stata costituita il 21 marzo da trentacinque soci, tra i quali il sottoscritto. Il Documento è parte integrante dell'atto costitutivo dell'Associazione, la quale ha come scopo sociale quello di diffondere, in rete e attraverso la promozione di assemblee cittadine, le analisi e le proposte contenute nel Documento (Stefano D'Andrea).
Dal Documento di Analisi e proposte dell'Associazione Riconquistare la Sovranità:
§ 1 Premessa;
§ 2 L'insanabile contrasto tra Costituzione della Repubblica Italiana e Trattati dell'Unione Europea;
§ 3 L'errore politico e tecnico dell'euro;
§ 4 Scuola e Università;
§ 5 Sanità;
§ 6 Agricoltura;
§ 7 I settori industriali strategici;
§ 8 Riformare le controriforme attuate nell'ultimo ventennio da una classe dirigente esterofila e in preda alla depressione;
§9 L'ìtalia deve tornare ad essere una nazione pacifica; §10 La deriva della nazione;
§11 Il commissariamento politico dell'Italia e la seconda morte della patria;
§12 La depressione economica.


1. Premessa
La parte più nobile e moderna della Costituzione della Repubblica Italiana è costituita dal titolo dedicato ai “rapporti economici” (artt. 35-47). Essa, da almeno due decenni, è totalmente disapplicata, in ragione della prevalenza dei Trattati dell’Unione Europea e del diritto derivato (emanato dagli organi dell’Unione) sulle norme costituzionali volte a disciplinare la materia economica. Una congiuntura internazionale favorevole, un lungo periodo di bassi tassi di interesse, la promozione dell’indebitamento privato, che ha supplito per molto tempo la diminuzione dei salari e dei redditi da lavoro tutti, e la diffusione della ideologia globalista, mercatista, transnazionale, idolatra della concorrenza e individualista hanno oscurato a lungo, agli occhi del popolo italiano, questo dato di fondamentale rilevanza. Oggi siamo giunti al tempo della verità e alla necessità di invertire la rotta.

I principi fondamentali dell’Unione Europea non sono in grado di far uscire l’Italia dalla crisi economica, bensì spingono verso l’aggravamento e generano un difetto di coesione sociale e territoriale che sta minando l’Unità della Nazione e impoverendo larghi strati della popolazione.

2. L’insanabile contrasto tra Costituzione della Repubblica Italiana e Trattati dell’Unione Europea.
Il modello di disciplina dei rapporti economici prefigurato dai Trattati Europei è irrimediabilmente in contrasto con il modello di disciplina prefigurato nella Costituzione. I valori e gli interessi promossi dalla Costituzione della Repubblica Italiana sono opposti rispetto ai valori e agli interessi promossi dai Trattati dell’Unione Europea. In Particolare:

- “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni” , “aiuta la piccola e media proprietà”, “provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato” (artt. 37, 45), mentre l’Unione Europea: impone la deflazione salariale e la precarietà, come unico strumento per aumentare la produttività e reggere la competizione internazionale; spinge verso le liberalizzazioni a vantaggio del grande capitale, libero ormai di valorizzarsi anche nel campo delle professioni un tempo protette, anche là dove non vi è alcun odioso privilegio da estirpare; schiaccia gli agricoltori rendendo difficile o impossibile la libera organizzazione della loro attività, nell’interesse della grande distribuzione e dell’industria agroalimentare; costringe i commercianti a soggiacere al capitale marchio (in particolare tramite il contratto di franchising e in genere la valorizzazione dei marchi) e penalizza i piccoli esercizi commerciali, consentendo l’apertura anche nel tradizionale giorno di riposo.

- “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme” (art. 47, primo comma), mentre l’Unione Europea incoraggia l’indebitamento privato per l’acquisto di beni e servizi di consumo.

- La Repubblica “tutela il risparmio”, ossia lo preserva dall’inflazione. Mentre l’Unione Europea promuove le rendite – ossia la valorizzazione del denaro risparmiato senza che il risparmio sia investito, anche indirettamente, nella produzione di beni e servizi - e le plusvalenze derivate da scommesse finanziarie. Questo obiettivo è perseguito dall’Unione Europea sia direttamente, attraverso una ipocrita disciplina di tutela del cliente-investitore, sia indirettamente, vietando limitazioni alla libera circolazione dei capitali e quindi impedendo di tassare adeguatamente i proventi derivanti da plusvalenze, rendite e scommesse: in caso di elevamento dell’imposizione da parte di uno degli stati membri, i capitali fuggirebbero.

- “La Repubblica favorisce l’accesso del risparmio popolare… al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese” (art. 47, secondo comma), mentre l’Unione Europea impedisce all’Italia ogni vincolo di destinazione del risparmio degli italiani, sancendo la assoluta libertà di circolazione dei capitali, anche nei confronti dei paesi terzi, e garantendo il “diritto” dei risparmiatori, per lo più attraverso i grandi intermediari finanziari, di indirizzare il risparmio in ogni piazza finanziaria, alla ricerca della maggiore rendita e delle più attraenti scommesse.

- “La Repubblica… disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”, mentre l’Unione Europea ha imposto una disciplina del credito, attuativa di direttive comunitarie, che ha sancito l’abbandono dei tradizionali principi italiani, con il vincolo per l’Italia di non poter reintrodurre gli antichi principi.

- La Costituzione ammette, in presenza di determinate condizioni, monopoli pubblici o collettivi, sia originari, sia derivanti da espropriazioni con indennizzo (art. 43). L’Unione europea promuove la concorrenza in ogni campo dell’attività economica e impedisce all’Italia di introdurre monopoli anche in alcuni dei casi previsti dalla Costituzione.

- La Costituzione italiana non vieta e quindi ammette il ricorso al protezionismo e anzi promuove limitazioni della libertà di circolazione dei capitali (art. 47, secondo comma: “La Repubblica… Favorisce l’accesso del risparmio popolare… al diretto ed indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese”). Al contrario, l’Unione Europea, per un verso, instaura un “mercato aperto”, che impone la libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali, anche nei confronti dei paesi terzi, privando gli stati della politica doganale anche nei confronti dei paesi estranei all’Unione europea; per altro verso, vieta gli aiuti di Stato. Ciò significa, per recare soltanto un esempio, che l’Italia, preso atto dell’elevato numero di computer, di telefonini e di televisori acquistati dagli italiani, non potrà mai destinare ingenti somme a imprese pubbliche o partecipate dallo Stato, che producano quei beni, inizialmente soprattutto per il mercato italiano, grazie a norme che garantiscano a quelle imprese quote di mercato, e che occupino i laureati italiani in informatica e in ingegneria, nonché i tecnici e gli operai del settore.

- La Costituzione Italiana promuove la piena occupazione (art. 4, primo comma) e quindi salari dignitosi, ammettendo, a tal fine, un’inflazione modesta o relativamente modesta. L’unione europea impone un’inflazione bassissima, impedisce la piena occupazione e promuove la deflazione salariale.

- La Costituzione non pone limiti al debito pubblico e al deficit pubblico e consente allo Stato di prevedere che i titoli invenduti siano acquistati dalla banca d’Italia. L’Unione Europea prevede precisi limiti al debito pubblico e al deficit, impedisce alla BCE e alle banche centrali nazionali di acquistare titoli del debito pubblico e vuole imporci l’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione.

- In generale, l’Unione europea abbatte i confini degli stati europei, anche nei confronti dei paesi terzi e crea un mercato aperto nel quale deve vincere la logica del più forte. Al contrario, l’art. 41, terzo comma della Costituzione prevede che “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. L’Unione europea sopprime tutti i possibili poteri degli stati e quindi dei popoli di disciplinare l’economia, affidando il sistema economico alla pura concorrenza tra imprese e gestori dei grandi capitali internazionali. Mentre la Costituzione sancisce che il popolo italiano, attraverso lo stato italiano, disciplini l’economia.

I due programmi politico-economici sono in irrimediabile contrasto. O il Parlamento e il Governo italiani applicano l’uno o applicano l’altro. E in ragione del prevalere (nelle materie economiche) del diritto dell’Unione Europea sul diritto interno italiano (opinione giuridicamente infondata che, tuttavia, è un fatto), anche di rango costituzionale, sono ormai più di venti anni che Parlamento e Governo italiani svolgono il diritto europeo, anziché il diritto costituzionale dei rapporti economici. Quindi, “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi” (art. 54), salvo i membri del Governo e del Parlamento, che devono osservare il diritto europeo e violare sistematicamente il diritto dell’economia di rango costituzionale!

3. L’errore politico e tecnico dell’euro.
L’unione europea ha sottratto allo stato italiano anche il potere di gestire una moneta nazionale, vincolandolo a una moneta comune che non è di nessuno. L’adozione della moneta unica si è rivelata, oltre che un errore politico un grave errore tecnico.

Gli architetti politici che si sono occupati della costruzione dell'euro hanno scelto di non tener conto delle preoccupazioni espresse da vari esponenti della scienza economica.

Non sono pochi gli esperti che avevano rilevato per tempo come una unione monetaria fra Paesi molto diversi rispetto ad importanti parametri economici (come competitività e tassi di inflazione) avrebbe comportato numerosi squilibri, che sarebbero poi esplosi nei momenti di crisi. Questo è ciò che è puntualmente avvenuto. Nei circa dieci anni passati dall'avvento della moneta unica, i paesi PIGS hanno avuto livelli di inflazione significativamente più elevati di quelli della Germania, e di conseguenza hanno perso competitività, finendo per accumulare pesanti deficit commerciali, non a caso nei confronti della stessa Germania.

E' questa la ragione principale della crisi di fiducia che i mercati esprimono nei confronti dell'eurozona. I Paesi meno competitivi rispetto alla Germania vedono peggiorare continuamente la loro situazione economica, senza poter reagire con lo strumento della svalutazione della moneta nazionale (che non hanno più), e sono quindi considerati a rischio default.

La crisi di fiducia impone ai Paesi meno competitivi di aumentare gli interessi sui titoli del debito pubblico, al fine di riuscire a collocarli sul mercato: ma dover corrispondere maggiori interessi rende sempre più difficile recuperare le risorse necessarie per pagarli, e per ripagare i titoli in scadenza.

Il tutto si traduce in ulteriore aumento del rischio di default.

È ormai comunemente accettata l'idea che per salvare l'Euro è necessario ridurre il gap di competitività fra i paesi dell'eurozona, allineandosi alla Germania. Non potendo svalutare la propria moneta, per recuperare competitività i Paesi con le economie più deboli devono necessariamente ripetere quello che i tedeschi hanno già fatto nel decennio passato: aumentare la produttività e contemporaneamente abbassare i salari reali. Tali misure, che comportano costi sociali altissimi, non possono determinare gli stessi effetti sulla crescita che hanno prodotto in Germania, ma solo contribuire ad avvitare i Paesi dell'eurozona in spirali recessive senza uscita, alimentate anche dai tagli alla spesa pubblica imposti dall'Unione Europea.

L'unico risultato possibile è la recessione, e anzi la depressione, entro al quale avverrà un forte impoverimento generale dei ceti medi e popolari, assieme al depauperamento dei servizi pubblici (istruzione, sanità, trasporti). Tutte le drammatiche misure di austerità imposte dall’Unione uropea e dalla BCE per salvare l'Euro non raggiungeranno il loro scopo. Primo o dopo l'Euro salterà. Ma il rischio è che ciò avvenga solo dopo aver messo letteralmente in ginocchio le economie e i tessuti sociali dei Paesi dell'eurozona o almeno dei Paesi del sud europa. A quel punto sarà durissimo sostenere gli effetti del crollo della moneta unica.

Nel frattempo, per poter imporre quanto deciso dalla BCE e dalla Commissione Europea (cioè da Francia e Germania), l'Unione Europea inasprisce il proprio carattere antidemocratico, tramite nuovi trattati che obbligano i Paesi membri a realizzare tutto ciò che viene deciso dai tecnocrati europei, indipendentemente dalla volontà popolare e dalle determinazioni dei Parlamenti nazionali.

Euro ed Unione Europea sono quindi i primi nemici da abbattere per chiunque voglia difendere le condizioni di vita dei ceti popolari e medi, la sovranità popolare, la democrazia politica.

4. Scuola e Università
È in atto da molto tempo un lento processo di distruzione della Scuola e dell'Università pubbliche. Le continue riforme che si succedono, ad ogni cambio di ministro, non fanno che portare avanti questa distruzione. Nella Scuola pubblica viene in sostanza cancellata la centralità delle discipline e dei contenuti, che sono la vera sostanza sulla quale si basa il processo educativo specificamente scolastico. Questa perdita di contenuti disciplinari riduce il lavoro scolastico ad una sorta di immane servizio di “babysitteraggio”, con la perdita di ogni reale valore educativo del tempo passato sui banchi. Le varie riforme, inoltre, colpiscono al cuore il carattere di scuola nazionale, uguale per tutti i cittadini, della scuola pubblica, prevedendo una sciagurata autonomia che significa soltanto trasformazione della scuola in azienda privata (anche se formalmente pubblica) che va a caccia di clienti sul Mercato. Analogo destino colpisce l'Università, i cui gravi problemi non vengono risolti ma accentuati dalle varie “riforme” succedutesi negli anni.

La fine della Scuola e dell'Università pubbliche, statali, nazionali, è una perdita gravissima per la possibilità stessa di continuare a pensare il nostro paese come una patria comune. La Scuola pubblica e l’Università pubblica devono tornare ad essere il principale strumento di promozione della mobilità sociale. Se oggi la mobilità sociale in Italia è bassissima, ciò è dovuto anche alla distruzione della Scuola e dell'Università pubbliche statali. È difficile contrastare questi fenomeni, perché essi derivano da meccanismi culturali profondi del nostro mondo. Per provare almeno a combatterli il recupero della sovranità nazionale e il distacco dalla “cultura” diffusa dal pensiero globalista e mercatista sono condizioni necessarie.

5. Sanità
In aderenza alle pulsioni e credenze del pubblico in tema di salute, opportunamente stimolate e pilotate, la medicina, alla quale ci si affida come un tempo alla religione, è stata trasformata in uno dei maggiori settori dell’imprenditoria liberista; un settore parassitario dove la Domanda è facilmente regolata da un’Offerta senza scrupoli, e sul quale si è sovrapposta l’economia fittizia della speculazione finanziaria.
Noti economisti auspicano che la quota sanità del PIL salga al di sopra del 15%; ciò è ottenibile, ma sarebbe una disgrazia, perché già oggi per far diventare la medicina un motore di crescita economica la si è gravemente inquinata con deviazioni e con pratiche fraudolente; così che essa non fornisce ciò che potrebbe dare mentre storna risorse e crea danni iatrogeni. Ad esempio, la “prevenzione” oggi non consiste nell’assicurare un ambiente salubre, condizioni di vita equilibrate e cibi genuini, alla luce delle conoscenze biomediche; ma in trattamenti medici di massa ai sani mediante costosi programmi di screening, l’inutilità e la dannosità dei quali sta venendo riconosciuta in diversi casi anche in sedi ufficiali. Si favorisce la cronicizzazione delle malattie, per trasformarle in rendite assicurando il maggior consumo di costose scatolette di farmaci proclamati efficaci, e si lascia alle famiglie la gran parte di carichi sanitari essenziali come le cure odontoiatriche e l’assistenza ai non autosufficienti. E’ anche possibile che, ridotta la democrazia reale al lumicino, i futuri sviluppi, che potrebbero includere una maggiore privatizzazione della sanità, si avvalgano di forme più tradizionali di autoritarismo, per giungere allo “Stato terapeutico” preconizzato da alcuni commentatori. I meccanismi coi quali il potere ottiene ciò sono oscurati da fattori psicologici e tecnici, potenziati dalla propaganda e dalla censura; ma gli effetti negativi sono percepiti da una quota crescente di cittadinanza.

Le forze liberiste nel perseguire lo sfruttamento della medicina si sono poste il problema di geometria istituzionale: “volendo impossessarci del governo della medicina, come massimizzare la sua distanza dai due centri naturali di controllo democratico, lo Stato e il territorio ?”. Lo hanno risolto ottenendo dai politici la sovraordinazione della UE allo Stato e la devoluzione della sanità alle Regioni. La UE considera apertamente la medicina come un settore economico strategico, la cui tutela consente deroghe ai diritti fondamentali; spodesta un governo centrale occupato da politici “cùpidi di servilismo”. Le Regioni, ricettacolo di corrotti, traducono in interventi legislativi e amministrativi gli interessi dei poteri forti della sanità a livello locale. Anche se da solo non è sufficiente, e il servizio pubblico non sempre è superiore all’iniziativa privata, è necessario che sia lo Stato nazionale, al servizio razionale delle necessità e richieste delle realtà locali, a controllare la medicina. Ciò renderà possibile l’intervento più urgente, quello di emancipare i cittadini dalla loro condizione di stampo del potere mediante una corretta informazione; sollecitando in loro il meglio, anziché il peggio come fa la dittatura a stampo; in modo che sappiano ciò che devono pretendere dalla sanità e ciò che non possono chiederle.

6. Agricoltura
L’Unione Europea con la Politica Agricola Comune (PAC) degli ultimi decenni ha determinato un netto decremento della produzione agricola italiana, attraverso l’introduzione di aiuti finanziari legati esclusivamente alla proprietà del terreno ed incuranti dell’effettivo contributo produttivo. Inducendo così alcuni agricoltori a lasciare incolti i loro terreni per vivere di rendita o a modificarne la vocazione a fini esclusivamente ambientali, ricreativi o energetici. Ciò si è drammaticamente riflesso in negativo sulla bilancia commerciale italiana. Generando un potente flusso di materie prime agricole dall’estero che hanno ulteriormente indebolito l’agricoltura italiana e l’economia nazionale tutta. Inoltre, i processi di globalizzazione in atto, insieme al dirigismo tecnocratico della U.E., realizzato ad uso e consumo delle aziende che operano con economie di scala, stanno ulteriormente riducendo il numero delle piccole e medie aziende agricole disgregando il tessuto sociale che verte su di esse.
L’adozione di politiche protezioniste, con l’adozione di dazi e tariffe, in tutti quei casi in cui l’agricoltura nazionale risulti aggredita da fenomeni di concorrenza da parte di paesi terzi, insostenibile da parte dei nostri agricoltori, appare l’unica possibile soluzione per evitare l’ulteriore aggravarsi della crisi in atto.
Infine il ripristino di una politica agricola nazionale in luogo di quelle attuali euro-centriche ed il recupero di una moneta nazionale con cambio monetario gestibile in funzione delle necessità economiche appaiono sempre più una impellente necessità, al fine di garantire la sopravvivenza ed il rilancio dell’intero comparto agricolo.

7. I settori industriali strategici
In un’ottica integralmente liberale, opposta, quindi, all'ottica che qui assumiamo, la nozione di settore strategico è di per sé vuota di contenuti ex-ante, essendo il mercato il solo ed unico giudice ammissibile (ex-post) delle decisioni produttive prese in modo indipendente dagli operatori privati sulla base della semplice convenienza valutata dal singolo. Non vi è alcuno spazio, in questa prospettiva, per giudizi generali e aprioristici circa la preferenza di una scelta produttiva rispetto ad un'altra. Ponendoci invece in un'ottica opposta, di sovranità almeno parziale sulle scelte produttive, la nozione di strategicità diviene di estrema importanza.

Un settore strategico può essere considerato tale per una serie di ragioni che contribuiscono a dare al termine strategicità diverse accezioni che contribuiscono ad una definizione complessiva. Quattro sono le aree che ci riconducono alla strategicità:
A) Un settore è strategico anzitutto:
1- perché si occupa della produzione di un bene di consumo o un servizio primario per i bisogni della popolazione (è il caso di alcuni prodotti alimentari di base, dell'elettricità, dei combustibili, dell'edilizia abitativa, della sanità, dei farmaci, ma si può anche allargare il campo a molti altri servizi o prodotti) 2- perché si occupa della produzione di un bene o servizio di investimento legato direttamente alla produzione di beni di consumo considerati primari (un macchinario sanitario, la ricerca farmaceutica etc etc). 3- perché produce un bene o un servizio senza l'uso del quale, una parte considerevole di tutte le altre produzioni e attività economiche non potrebbe neanche avvenire (è il caso ad esempio dell'energia, dei trasporti, delle telecomunicazioni, dei sistemi informatici, della siderurgia, della chimica etc etc) B) Descritto il concetto più elementare di strategicità, bisogna integrarlo con accezioni più complesse e meno immediate. Un settore è infatti parimenti strategico se:
4- contribuisce direttamente ad una parte considerevole dell'occupazione di lavoratori nel sistema economico.
5- presuppone, per la sua stessa esistenza, la presenza di un indotto produttivo a monte molto esteso, che fa sì che tale settore sia inscindibilmente legato ad un enorme fetta dell'apparato produttivo in generale e quindi ad un enorme quota parte di occupazione di lavoro
6- è legato a scelte di investimento di lungo periodo di carattere scientifico, tecnologico e culturale, in grado di modificare nel tempo, in maniera decisiva, lo sviluppo materiale e spirituale della società. E' il caso della ricerca di medio-lungo periodo in tutte le sue sfumature: da quella medica e farmaceutica, alla ricerca orientata allo sviluppo di nuove tecnologie che consentono il risparmio energetico e di lavoro, fino alla ricerca umanistica in tutte le sue forme.
C) La strategicità ha poi un ulteriore importantissimo contenuto che investe anche il ruolo del paese nei rapporti internazionali:
E' strategico da questo punto di vista, un settore:
7- che per l'alta intensità di contenuto tecnologico e di investimenti, gode di un alto valore aggiunto e quindi di un alto valore di scambio internazionale (è il caso di tutti i settori tecnologicamente avanzati) 8- che è sottoposto, per la sua stessa natura, a vincoli geopolitici molto forti che impongono l'esistenza di determinate relazioni tra paesi (è il caso di tutto il settore energetico di importazione o dei brevetti scientifici in mano ad altri paesi)
D) Infine, un'ultima importantissima accezione che contribuisce a definire il concetto di strategicità può portare ad affermare, in un ottica profondamente dirigistica e programmativa, che un settore è strategico se:
9- il suo sviluppo risponde ad esigenze di orientamento del sistema produttivo (in senso ampio) in una direzione ritenuta auspicabile da un punto di vista etico sulla base di scelte collettive condivise. Su questa base è strategico non solo, ovviamente, tutto il comparto culturale, ma in via indiretta ogni tipo di produzione anche materiale che contribuisce a definire una direzione di etica pubblica.

Queste numerose accezioni del concetto di strategicità sono tutte quante strettamente vincolate alla questione della sovranità. Se si accetta infatti la nozione di strategicità di un settore nelle diverse sfumature qui sommariamente elencate, automaticamente si accetta il terreno dell'ineludibilità della sovranità politica sui processi economici e dell'ineludibilità di una politica industriale intesa in senso interventista-discrezionale (e non come mero assecondamento della logica di mercato secondo la nozione oggi ormai comune di tale concetto).
Non è infatti logicamente possibile invocare la strategicità di un ramo della produzione economica, senza conseguentemente invocare il controllo e la programmazione politica di tale settore (nelle diverse forme possibili, dalla proprietà pubblica monopolistica o concorrenziale, alla partecipazione statale, fino al semplice controllo e orientamento della stessa produzione privata).
L'Italia, inserita nei meccanismi ultra-liberali e vincolanti dei trattati europei, ha da oltre vent'anni rinunciato ad una politica di orientamento e programmazione del sistema economico; ha sostanzialmente rinunciato ad una politica industriale sovrana, in favore dei dogmi del libero mercato e della concorrenza che impongono o il semplice “laissez faire” oppure l'implementazione di politiche attive che assecondino e favoriscano i meccanismi del “mercato ideale”.
Un recupero della sovranità politica è condizione ineludibile per una rinnovata programmazione economica, a partire dai settori vitali e strategici dell'economia.

8. Riformare le controriforme attuate nell’ultimo ventennio da una classe dirigente esterofila e in preda alla depressione
Accanto alle direttive e ai vincoli giuridici provenienti dall’Unione Europea, altre forze, di natura “culturale”, parallele e in parte coincidenti con quelle provenienti dall’Unione Europea, sovente riconducibili alla colonizzazione dell’immaginario degli italiani operata dagli Stati Uniti d’America, hanno spinto, nell’ultimo ventennio, la classe dirigente italiana a modificare molteplici settori vitali dell’ordinamento giuridico italiano.

Tutto è stato riformato o abrogato: il sistema di distribuzione dei poteri normativi e amministrativi tra Stato ed enti locali; il sistema elettorale; settori dell’amministrazione statale affidati ad autorità indipendenti (da chi?), le quali opererebbero per l’affermazione e la tutela di asserite esigenze tecniche; l’Università; la Scuola; il processo penale; la legge fallimentare; il diritto societario; il diritto bancario; il diritto finanziario; le carriere amministrative; la gestione dei servizi pubblici locali; il diritto del lavoro subordinato; gli ordini professionali e le libere professioni; le autorizzazioni all’esercizio del commercio; il diritto industriale; e così via.

Gran parte della disciplina relativa all’intervento pubblico nell’economia è stata smantellata e con essa gran parte delle imprese pubbliche sono state privatizzate.

Tutte le riforme sono andate nella medesima direzione, suggerita o anticipata dal diritto statunitense o imposta dal diritto dell’Unione europea. A prescindere dal giudizio sulle singole riforme, talvolta astrattamente apportatrici di giusti o accettabili principi (ma calati meccanicamente in una realtà diversa da quella dalla quale sono stati tratti), si è omesso di considerare che un ordinamento giuridico statale è una realtà organica, che vive nella storia, realtà che, nei settori nevralgici, va modificata con grande attenzione e prudenza.

Più riformavamo e più le cose peggioravano. Più riformavamo e più problemi sorgevano. Più riformavamo e più diminuiva la nostra competitività rispetto agli altri stati, non soltanto europei. Il fenomeno non ha eguali negli altri stati europei e costituisce al tempo stesso la ragione dell’indebolimento dell’Italia e la prova che la classe dirigente italiana dell’ultimo ventennio (indifferentemente di centrodestra e di centrosinistra) è stata sciagurata e sarà irrevocabilmente condannata dal tribunale della storia. Non che gravi cedimenti non si fossero verificati anche nel decennio precedente; tuttavia nell'ultimo ventennio le riforme degenerative si sono moltiplicate in misura geometrica.

Non ci ha guidato un principio nuovo ma una depressione. Se una persona in poco tempo cambia nome, moglie, città, lavoro, sport preferito e hobby, possiamo essere certi che essa è stata depressa. Così è avvenuto per l’Italia, che ha “riformato” (e talvolta distrutto) moltissimi settori nevralgici dell’ordinamento giuridico italiano.

Sebbene pseudo intellettuali, che in venti anni non ne hanno azzeccata una, continuino a perorare “le riforme”, nel nome dell’efficienza, della competitività, della concorrenza, dell’apertura ai mercati internazionali, dell’adesione alle richieste dell’Unione Europea e dell’adeguamento a istituti e prassi dei paesi “a capitalismo avanzato”, è ormai palese, a chi non intenda bendarsi gli occhi, che l’Italia è stata colpita al cuore proprio dalle mille riforme. E che le prime riforme che è necessario veramente porre in essere consistono nella sottrazione dell’Italia a quei vincoli, politici, giuridici, “culturali”, tutti di carattere sovrannazionale, i quali ci hanno imposto o suggerito riforme distruttrici di ben efficaci e giusti assetti d’interesse che avevamo ereditato dalla nostra storia e che forse dovevano soltanto essere ritoccati con pazienza, sperimentando le riforme, dapprima in singole città o Università o Scuole, o settori per verificarne la bontà.

9. L’Italia deve tornare ad essere una nazione pacifica.
Nell’ultimo quindicennio, l’Italia ha partecipato a innumerevoli guerre di aggressione, sempre come ruota di scorta degli Stati Uniti, ora sotto l’ombrello della NATO ora sotto quello dell’ONU. Quelle guerre di aggressione hanno ribaltato giudizi di campi di battaglia; hanno comportato il bombardamento di popoli ed eserciti senza talvolta concedere agli avversari la possibilità di colpire gli aerei della coalizione degli aggressori e senza far seguire alla guerra aerea una parvenza di guerra terrestre; hanno ricondotto all’età della pietra stati che avevano sviluppato sistemi scolastici, sanitari e imprenditoriali di buon livello; sono state condotte servendosi di milizie locali razziste di stupratori e di sodomizzatori; hanno disintegrato stati unitari e hanno minato l’unità nazionale di altri.

Nessuna di quelle guerre, alle quali comunque non avremmo dovuto partecipare, è stata condotta nell’interesse degli italiani: della maggioranza o di una minoranza qualificata. Addirittura l’ultima, quella contro la Libia, è stata condotta contro i nostri interessi e nell’interesse di alcuni alleati. Nemmeno in questa occasione, la classe dirigente italiana ha avuto il coraggio di non accodarsi alla Francia e all'Inghilterra (nella guerra contro la Libia gli Stati Uniti hanno effettivamente mantenuto un profilo basso) e di rimanere neutrale, come invece ha fatto la Germania.

Quella parte dei cittadini italiani, fortunatamente ampia, che non è stata completamente ridotta alla condizione di video-consumatori di falsità mediatiche prova vergogna. E vergogna, ne siamo certi, provano anche i nostri migliori soldati, che non meritano di far parte di coalizioni con criminali razzisti e vorrebbero svolgere soltanto il compito di difendere la patria da aggressioni straniere e da tentativi armati di secessione.

Svincolarci dalla sudditanza politica, giuridica e “culturale” nei confronti degli Stati Uniti, ormai diretti da una classe dirigente di miliardari criminali, guerrafondai e pericolosissimi, è un imperativo morale, prima che politico.

10. La deriva della nazione
La deriva della nazione ha trovato compimento, per un verso, nella guerra di aggressione contro la Libia, proprio perché, a tacer d’ogni altro profilo, si è trattato (caso più unico che raro) di una guerra condotta contro gli interessi degli italiani e a favore di interessi stranieri; per altro verso nella crisi del debito pubblico, dovuta – secondo i media ufficiali che da anni stupidiscono gli italiani – alla “sfiducia dei mercati” nei confronti dell’Italia e dell’ex Presidente del consiglio in particolare, e in realtà dipendente: da politiche che hanno preferito allocare sui mercati, anziché presso i risparmiatori italiani, il debito pubblico; che hanno voluto sopprimere la moneta nazionale a favore del corso forzoso di una moneta cosiddetta “comune” e che invece non appartiene a nessun popolo; che hanno consegnato l’immenso risparmio degli italiani ai grandi intermediari finanziari, imponendo al tempo stesso all’Italia di partecipare alla gara tra stati per attrarre capitali stranieri; che, hanno voluto concedere la massima autonomia alla BCE (e purtroppo già prima dell'ultimo ventennio alla Banca d'Italia).

11. Il commissariamento politico dell’Italia e la seconda morte della Patria
L’esito di oltre venti anni di politiche globaliste, di apertura ai mercati internazionali e di cancellazione dei confini nazionali è stato catastrofico e si è materializzato in un vero e proprio governo di occupazione o, se si preferisce, di semplice commissariamento.

La composizione dell’attuale governo non lascia adito a dubbi. Il Presidente del consiglio è il proconsole della UE, dove ha svolto un ruolo di vertice e ultra-politico per dieci anni. Altro che tecnico! Come commissario europeo, Monti è stato indipendente dallo Stato Italiano (lo imponevano i trattati europei). Ma è stato pur sempre per dieci anni membro dell’organo di governo dell’Unione europea. Istituzionalmente, nel rispetto dei Trattati europei, ha sempre agito nell’interesse della comunità europea, in piena indipendenza dallo stato italiano. L'ammiraglio Giampaolo Di Paola, ministro della difesa, è l'uomo della Nato nel governo italiano. Era ammiraglio presso la NATO in Libia. Il ministro degli esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, è l'uomo di Israele e degli Stati Uniti nel governo italiano. E’ stato ambasciatore presso Israele e successivamente presso gli Stati Uniti, ove è restato in carica fino al momento di in cui è diventato Ministro degli esteri E’ stato anche consigliere politico della rappresentanza italiana presso la NATO. Non c'è ente sovrannazionale che non sia rappresentato nel nostro governo: persino l'OCSE è rappresentata da un sottosegretario che proviene dall'Invalsi, l'ente che da anni perora la causa dei test asseritamente volti ad accertare le capacità intellettive e culturali degli italiani e in realtà a stupidirli.
E’ la seconda morte della Patria.

12. La depressione economica
Nessuna fiducia può essere riposta nel Governo Monti, appoggiato dalla sciagurata classe dirigente di centrodestra e di centrosinistra. Se qualche provvedimento, tra i tantissimi ingiusti e demagogici, può apparire giusto, è certo che il Governo Monti teorizza e persegue una politica economica che condurrà l’Italia in depressione.

Il Governo Monti, aumentando le imposte e tagliando al contempo le spese, diminuirà la domanda pubblica. La moneta comune, tenacemente e assurdamente difesa dal Governo, continuerà a cagionare scarsità di domanda estera e squilibri nella bilancia dei pagamenti, i quali a loro volta impediranno di ridurre lo spread a livelli insignificanti e continueranno a rendere costoso, per lo Stato Italiano, il reperimento di prestiti, rispetto ad altri stati europei.

Le banche, che sono decotte, diminuiranno i prestiti alla produzione e al consumo, cagionando un'ulteriore diminuzione dell’offerta e della domanda.

La manovra economica non ha spostato ricchezza dai ceti ricchi ai ceti poveri e medi, i quali hanno maggiore propensione al consumo e pertanto nemmeno per questo verso si avrà un aumento della domanda.

Né vi è ragione di credere che, nella attuale congiuntura, si verificherà un aumento degli investimenti diretti esteri in Italia, volti a costituire nuove imprese. Gli investimenti volti ad acquistare imprese italiane, invece, se in parte si verificheranno, saranno una sciagura, perché accanto a momentanei e relativi benefici, comporteranno un indebolimento e un impoverimento del sistema produttivo nazionale.

La logica non lascia scampo. Nei prossimi due anni l’Italia vedrà scendere sensibilmente il prodotto interno lordo. Le liberalizzazioni, nelle quali ripone fiducia il fanatico Monti, produrranno soltanto spostamenti di ricchezza, in pochi casi in una direzione giusta, negli altri, in direzione sbagliata. In nessun modo renderanno più produttivo il sistema economico italiano.

Fonte: www.appelloalpopolo.it
Links:
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23.03.2012 e 26.3.2012

martedì 28 febbraio 2012

UN EVENTO MEDIATICO A RIMINI. IL SUMMIT MMT

Rimini, 24-2-2012. - Nel silenzio tombale degli organi di stampa tradizionali è partito a Rimini il Summit MMT, organizzato da Paolo Barnard.

Una mia prima stima è di 2000 partecipanti al summit, forse meglio delle migliori aspettative. Si sente un profumo che sembrava dimenticato, il profumo degli eventi creati dalle masse, invece del tanfo emanato dai mantra putrefatti dei media (il deficit, lo spread, il rigore, i professori, ...).

Mi ritorna in mente Wu Ming quando nel 2003 scriveva che dopo il 15 febbraio i media siamo noi. Poi i movimenti andarono in sfacelo e tutto si ammosciò. Forse è ora di ricominciare.

Il 105 Stadium somiglia agli spettacoli di Grillo per la quantità di persone, anche se lo stile è diverso, più dimesso, meno voglia di spettacolo e più voglia (forse anche rabbiosa) di trovare una via d’uscita da un sistema fallito.

Introduce Paolo Barnard, con un aspetto spiritato, da profeta o predicatore. Umore pessimo e disperato nel vedere l’arroganza del potere, che tutto travolge, il potere vampiresco che succhia il sangue alle persone. “Il potere reale” lo chiama lui.
(Qui ho qualche dubbio. Non so quanto il potere sia reale e quanto sia immaginario. “L’imperialismo è una tigre di carta”, diceva Mao).
Comunque la speranza di Paolo viene da due scuole di economia, la MMT (Modern Money Theory) e la teoria del riflusso monetario.

I relatori si presentano.

Stephanie Kelton paragona la schiavitù dei negri negli USA del passato alla nostra situazione sotto l’euro. “Non è colpa vostra e ci sono vie d’uscita” dice.

Marshall Auerback ci tiene a parlare nella lingua di Dante, almeno in questa introduzione.

“Siete l’incubo di tutti banchieri europei”, dice William Black, spiegando che negli USA hanno dimenticato ciò che funzionava.
Ma parlerà di come uscire da questa situazione.

Alain Parguez (parla uno strano inglese con gli accenti alla francese) dice che un evento come questo sarebbe impossibile in Francia: “Gli italiani sono l’unica speranza dell’Europa”.
E spiega “La crisi del debito sovrano è una menzogna accuratamente pianificata. Voi siete il peggior incubo della classe dominante europea”.

Michael Hudson (in bretelle) la butta sul giocoso: “Se avessi saputo che c’erano più di 10-15 persone, avrei messo la giacca”.
Poi: “Quella in corso è una guerra finanziaria, non una lotta di classe”.

Va bene. Domani vedremo i dettagli.

Una considerazione mia, nell’economia reale l’assurdo ha sempre trovato posto con facilità: “credo quia absurdum”.
Forse è ora di smettere con la fede religiosa nell’assurdo e partire dal mondo reale.

UN’ECONOMIA DAL VOLTO UMANO
“Economics needs a soul”

Rimini - Si è svolta oggi (25-2) la giornata principale del summit MMT a Rimini, una maratona di economia a ritmi serrati, organizzata da Paolo Barnard, con la partecipazione di 5 economisti di valore e con un intervento a sorpresa di Nino Galloni, che ha raccontato alcuni fatti interessanti dell’ambiente economico italiano negli anni ‘80, avvenimenti che preparavano il disastro dell’euro.

I partecipanti oltre mille (il duemila fornito in precedenza era un po’ esagerato), con partecipazione da tutte le regioni e tutte le fasce d’età. Molti i giovani. Certamente il contrasto tra le generazioni che ci viene propinato dai media al summit non c’era, anzi c’era una voglia di collaborare insieme per risolvere problemi comuni.

In generale il summit non mi è apparso concentrato sulla sola MMT, ma affrontava tutta una serie di temi legati alla teocrazia finanziaria ed alla sua distanza dal mondo reale, dall’economia come gestione di risorse limitate per soddisfare bisogni umani.

Il tentativo (abbastanza riuscito) mi sembra essere quello di svelare i trucchi della finanza, illuminare le aree oscure (i tabù), individuare e falsificare (in senso popperiano) i dogmi economici.
Pesanti squarci al sipario fornito dai media forniscono nuove prospettive. Il sistema finanziario appare in piena luce come un sistema intrinsecamente truffaldino.

Forte anche la partecipazione del pubblico, con richieste di chiarimenti, ma soprattutto di proposte concrete su cosa fare nella situazione attuale.
Le risposte, almeno in parte, ci sono state, ma finora non esiste un programma organico su cosa fare oggi.
(Mi resta il dubbio che bisognerebbe tentare di fare leva sulle contraddizioni della finanza.)

Stephanie Kelton si occupa in particolare di MMT, introduce il concetto di moneta come strumento di scambio (IOU, I Owe You in inglese) e poi come strumento di pagamento.
Chiarisce poi come non tutti i debiti sono uguali (la piramide del debito).

Spiega come l’euro dal punto di vista degli Stati che lo adottano sia una moneta straniera, non una moneta sovrana. L’Italia non emette la valuta che usa, e perde quindi la possibilità di controllare il fisco e la politica in genere.

Hudson spiega come negli USA (Stato con moneta sovrana) ci sia stata una colossale creazione di denaro in tempi recenti, eppure i prezzi non sono saliti.
Non è vero che l’aumento della disponibilità di moneta fa aumentare i prezzi (la terribile inflazione) come dicono i libri di testo.

La strategia della banche d’affari è di impedire che lo Stato emetta denaro a suo piacimento e lo vogliono costringere a prendere il denaro a prestito. Per fare ciò spingono l’idea che la moneta di Stato produca inflazione.
Ma diceva Baudelaire che il diavolo finisce quando la gente smette di crederci. Oggi il Diavolo è la finanza.

Parguez vede l’Europa come un mostro che va contro tutte le regole dell’economia, un mostro programmato nel periodo tra le due guerre mondiali. Tutti i dati ufficiali europei sono menzogne.
Si vuole un nuovo cittadino europeo disposto ad accettare sacrifici e bassi salari. Nel piano gli Stati devono evaporare ed il potere deve essere trasferito ad una classe di tecnocrati sopranazionali (direi che siamo a buon punto).
Il Trattato di Maastricht era in realtà un PATTO DI DISTRUZIONE ED INSTABILITÀ.

Molto forte l’intervento di Black sui tabù della finanza: nessun manuale di economia spiega che i CEO (amministratori delegati) normalmente si arricchiscono con la frode.
L’arma di elezione per realizzare le frodi è la contabilità. Già nel 1993 Akerlof & Romer raccontavano le frodi ed i saccheggi dei CEO, ma non sono mai andati a finire nei libri di testo.

Lo schema generale esposto da Black è molto semplice:
1) La Banca (amministrata dal CEO) dichiara alti utili a breve
2) Il CEO si arricchisce notevolmente
3) Qualche tempo dopo la banca dichiara perdite disastrose (ma il CEO è andato via da tempo).

Black suggerisce che ci dovrebbe essere una Guardia Costiera per le banche: il CEO della banca dovrebbe essere costretto a comportarsi come il capitano di una nave, che può andare via solo per ultimo oppure affondare con la nave.

In seguito Black mostra uno schema analogo per gli stati, per esempio l’Islanda. Per un certo periodo l’Islanda era un modello per i liberisti, tutti la lodavano per i suoi alti tassi di sviluppo (2007).
Molti banchieri si arricchirono in modo eccezionale.
Qualche tempo dopo l’Islanda si ritrovò in una tremenda crisi economica che la portò al default.

Di Black è anche il richiamo a Mankiw, Economics needs a soul, (1993): l’economia di oggi è senz’anima e l’homo oeconomicus è un sociopatico.

Molto altro si è detto nel summit e una sintesi è difficile.

Domani la parte conclusiva.

E il terzo giorno... FUGA DALL'EURO 

Il terzo giorno ha approfondito i temi della MMT, in particolare Kelton ha spiegato nei dettagli la contabilità nazionale ed ha illustrato graficamente i margini di manovra che ha uno Stato a moneta sovrana, a confronto con il margine estremamente ristretto di una Stato ristretto nella gabbia dell'euro e del Patto di stabilità.

Ma la parte più interessante è il dibattito che si è scatenato sulla fuga dall'euro. Qui si sono aperte tutta una serie di prospettive su cosa vorrebbe dire abbandonare l'euro.

Una mia sintesi personale: l'euro è un esperimento inedito, per cui anche l'abbandono dell'euro sarebbe qualcosa di mai sperimentato prima, quindi qualsiasi piano (ne sono stati esposti diversi) dovrà confrontarsi con eventi imprevisti ed imprevedibili.
Eppure non resta molto tempo (sensazione comune a molti di noi). Su domanda puntuale Auerback rispondeva che entro un paio di anni potremmo essere costretti ad uscirne nel modo peggiore se non riusciamo a pianificare una via ragionevole.

E qui Parguet sollevava un paradosso (che provo a raccontare per come l'ho capito). Finora si è detto che un passaggio alla Lira (o altra valuta nazionale) provocherebbe un'immediata svalutazione della Lira e della ricchezza nazionale.

Non è dimostrato. Anzi, il primo effetto dell'uscita dell'Italia dall'euro sarebbe una violenta svalutazione dell'euro (rischio di effetto domino), mentre l'Italia, libera ormai di gestire la propria politica economica e finanziaria, sarebbe meno appetita dagli speculatori, che smetterebbero di giocare al ribasso.
Ma uno scenario di questo tipo sarebbe estremamente sgradito a chi ha pianificato l'euro per decenni. Quindi ci saranno feroci resistenze ad ogni tentativo dell'Italia di liberarsi della gabbia.
Se capisco bene Parguet, il problema vero saranno queste violente resistenze, non un'eventuale svalutazione.

Truman Burbank
27.02.2012

Riferimenti:

www.democraziammt.info
www.neweconomicperspectives.org/

Nota: Barnard comunica che il numero di partecipanti contati dalla security sabato erano 2188 esatti.
Una mia stima di sabato mi dava qualcosa tra 1300 e 1500 presenti in contemporanea (38 * 30 nella zona centrale, con rari buchi, e 300 o 400 sulle gradinate) quindi qualcosa di meno dei 2000 che mi erano sembrati inizialmente, comunque compatibile con i numeri dichiarati da Paolo (un certo andirivieni di partecipanti c'è stato, quindi non tutti erano presenti in contemporanea). Un'ulteriore precisazione: non c'erano solo italiani da tutte le parti, ma qualcuno arrivava dalla Svizzera.